MILANO (MF-NW)--L'inasprimento delle tensioni in Medio Oriente aumenta il rischio di frenata per l'economia mondiale: nella peggiore delle ipotesi, l'acuirsi di tensioni tra i Paesi della regione potrebbe portare a forti incrementi dei prezzi di petrolio e gas, accompagnati da elevata variabilità dell'inflazione, in un contesto di già alta fragilità. È quanto emerso dall'aggiornamento di giugno delle previsioni macroeconomiche di Prometeia.
Si tratta di un capitolo ancora tutto in divenire ma che avrebbe le potenzialità di sconvolgere lo scenario relativamente positivo tratteggiato nel rapporto di previsione. Nello scenario "centrale" di Prometeia, infatti, il prezzo del petrolio Brent raggiunge i 75 dollari a barile nella media del terzo trimestre come effetto temporaneo, il che manterrà allertate le banche centrali sulla dinamica inflazionistica prospettica, e quindi sulle decisioni di politica monetaria, ma non eserciterà pressioni al rialzo significative e persistenti sui prezzi al consumo.
LA QUESTIONE DAZI È ANCORA APERTA
La struttura dei dazi ipotizzata in queste ultime previsioni Prometeia implica una tariffa media sui prodotti europei esportati negli Usa più alta di circa 8 punti percentuali rispetto a marzo scorso (circa l'11% contro poco più del 3% implicito nelle ipotesi di marzo), oltre a più alti dazi di 10 punti verso tutti i partner commerciali degli Usa. Gli effetti saranno molto differenziati ma certamente più rilevanti per gli Stati Uniti, molto meno per i Paesi europei. Per questi ultimi si stimano effetti negativi sull'attività economica di circa 1 decimo di punto percentuale quest'anno e 2 decimi il prossimo. Tali effetti negativi dovrebbero poi venire contrastati da più alte spese per la difesa. Anche se l'Italia, come importante Paese esportatore e per il quale gli Stati Uniti rappresentano uno dei maggiori mercati di sbocco, è certamente più influenzata di altri, nello scenario di questo rapporto l'effetto è quantificabile complessivamente in 4 decimi di punto di minore crescita del Pil e 2 decimi di maggiore inflazione.
In questo complicato contesto, un altro elemento di novità è rappresentato dal cambio euro/dollaro, il cui apprezzamento, per ora modesto ma comunque meritevole di attenzione, accentua l'effetto "spiazzamento" delle nostre merci sul mercato statunitense, pur favorendo la discesa dell'inflazione in Europa. Se questa tendenza dovesse proseguire - cosa che al momento sembra essere stata interrotta dall'attacco all'Iran - si amplificherebbe l'impatto negativo dei dazi. Lo scenario presentato risulta tutto sommato gestibile, anche alla luce delle buone condizioni di redditività delle imprese italiane, e comunque non sarebbe tale da annullare la ripresa in corso. Tuttavia, la molteplicità di fattori di rischio allarga a dismisura l'alea che sempre circonda il futuro e ostacola le decisioni economiche, in particolare gli investimenti ma anche i consumi.
USA, UNA MINACCIA CHIAMATA TREASURY BONDS
Nello scenario centrale di Prometeia, la politica di bilancio del presidente statunitense Donald Trump non fornisce impulsi addizionali alla crescita. Anzi, il peggioramento delle finanze pubbliche previsto, anche nel caso in cui il testo finale sia meno espansivo di quello votato alla Camera, aumenta il rischio associato all'economia USA, con conseguente progressivo ulteriore indebolimento del dollaro e rendimenti a più lunga scadenza previsti rimanere intorno al 4.5%, anche quando verranno ridotti quelli di policy. Un perdurante disallineamento nella dinamica dei tassi di interesse tra Stati Uniti ed Eurozona potrebbe far emergere tensioni: rendimenti decennali così elevati negli Usa a fronte del 2.5% sui titoli tedeschi sono coerenti con aspettative di progressivo rafforzamento dell'euro, il che potrebbe contribuire a comprimere ulteriormente la crescita e l'inflazione nell'area euro. Qualora la proposta di bilancio dell'amministrazione Trump - che secondo Prometeia implica un profilo del debito federale su un sentiero di crescita insostenibile nel lungo termine - venisse approvata dal Congresso in un contesto di inflazione ancora distante dal target, e dunque senza margine per un intervento massiccio della Federal Reserve attraverso acquisti di titoli pubblici, i rendimenti sui titoli governativi statunitensi potrebbero aumentare ulteriormente, generando possibili tensioni di liquidità a livello globale. L'economia statunitense mostra tuttavia una resilienza inattesa per quanto riguarda il mercato del lavoro, in termini di creazione di nuovi posti e aumenti salariali orari, superiori all'inflazione, fattori che potranno contribuire a evitare una frenata brusca dell'economia. Dopo un rimbalzo del Pil atteso nel secondo trimestre, confermiamo il rallentamento guidato dalle voci interne di spesa con una crescita media annua del Pil attorno all'1.5% quest'anno e poco sotto l'1% il prossimo.
ITALIA, È VERA RESILIENZA?
In questa fase congiunturale, l'Italia sta mostrando un'inaspettata resilienza. La stabilità politica e la gestione prudente dei conti pubblici stanno offrendo un contributo rilevante, favorendo da un lato la discesa dei tassi di interesse sui prestiti - in linea con la normalizzazione della politica monetaria - e dall'altro la stabilità del quadro normativo. La crescita nel primo trimestre ha lievemente sorpreso al rialzo, e le previsioni restano sostenute dalla domanda interna: i consumi risultano in progressiva crescita grazie alla tenuta del mercato del lavoro, mentre gli investimenti sono spinti dalle opere finanziate attraverso il Pnrr. In questo contesto, le prospettive per l'economia italiana, pur scontando un rallentamento del commercio internazionale, risultano relativamente meno esposte di altri paesi alle attuali tensioni commerciali globali mentre potranno beneficiare dei preannunciati aumenti di spesa pubblica a livello europeo.
L'economia italiana sembra aver imboccato un sentiero di crescita, lento ma costante. Ma quanto duraturo? Pur in mancanza di dati puntuali, già nel corso del 2024, senza le spese addizionali finanziate dal Pnrr la crescita del Pil sarebbe stata inferiore di 3 decimi, rispetto al già magro +0,5% registrato complessivamente. Nelle ipotesi Prometeia, tale contributo sarebbe pari a 4 decimi di crescita nel 2025, poco meno nel 2026. Nel 2027, nonostante l'assunto che in parte i lavori previsti vengano terminati con qualche mese di ritardo, si avrebbe un contraccolpo negativo della crescita (-0,3 punti percentuali). In prospettiva, ci si deve chiedere cosa sosterrà la crescita una volta venuto meno l'impulso del PNRR: in altre parole, quali saranno i suoi lasciti e quali le opzioni possibili per le politiche economiche nazionali.
Le prospettive a breve sono tutte orientate alla cautela, con i dati disponibili che rispecchiano le "montagne russe" sulle quali si è costretti a viaggiare, dal brusco peggioramento intervenuto a inizio aprile al recupero successivo fino al nuovo shock dell'attacco all'Iran. Basandosi sui modelli Prometeia, la crescita del Pil italiano nel secondo trimestre sarebbe rallentata a +0.1%, con la prospettiva di una prosecuzione frenata dall'incertezza nella seconda parte dell'anno. Il 2025 si chiuderebbe quindi con una crescita media dello 0.6%, in linea con quanto prevedevamo a marzo pur a fronte di un primo trimestre migliore delle attese. Riteniamo tuttavia che, a partire dal 2026, nell'ipotesi che il governo tedesco approvi e implementi il piano di rilancio infrastrutturale attualmente in discussione e che le necessità di potenziare la capacità di difesa in Europa (e non solo) si traducano in un aumento della domanda rivolta alle imprese italiane, il ciclo potrebbe consolidarsi e consentire di mantenere una velocità di crociera della nostra economia nell'intorno del mezzo punto percentuale.
lvi/com
MF NEWSWIRES (redazione@mfnewswires.it)
2711:45 giu 2025