08:55 | 15 set 2025

MF ANALISI: Nagel lascia a testa alta, 20 anni di trasformazioni e sfide vinte "a modo suo" (Mi.Fi.)

di Roberto Sommella

ROMA (MF-NW)--"Regrets, I have a few", cantava Frank Sinatra, concludendo che però aveva fatto tutto a modo suo. Non si sa se il ceo di Mediobanca Alberto Nagel nel salutare i dipendenti di Piazzetta Cuccia avrà qualcosa di cui rammaricarsi in pubblico. Ma di certo chi lo conosce bene sa che avrà modo di illustrare le sue memorie con un refrain: non mi pento di nulla. Non sarà la sua My way, perché il banchiere che prepara l’uscita dalla sua casa che ha contraddistinto l’intera vita professionale ha il desiderio di ribadire a tutti i dipendenti di aver compiuto ogni scelta per il bene dell’istituto e non per il suo tornaconto. E questa voglia di chiudere con stile e fermezza trasparirà dalle sue parole, a ridosso dell’ultimo cda, convocato per il 18 settembre per il passaggio di consegne nelle mani dei nuovi azionisti di maggioranza della merchant bank, dopo il successo dell’opas del Monte dei Paschi di Siena.

Di addii sono pieni i libri di storia e questo riempirà per ora le cronache ma quello che prepara il banchiere figlioccio di Vincenzo Maranghi ed Enrico Cuccia, insieme al presidente uscente, Renato Pagliaro, non sarà tanto diverso da quelli che lo hanno preceduto. Fulvio Coltorti, per anni capo dell’ufficio studi di Via Filodrammatici, dove stanno per insediarsi i nuovi manager chiamati dalla compagine di Luigi Lovaglio e Nicola Maione, ceo e presidente di Mps, apre l’album dei ricordi. "Vincenzo Maranghi salutò i dipendenti uno per uno e loro lo salutarono per l’ultima volta nel cortile di Mediobanca, ci sono le foto dell’addio nel sito dell’archivio storico. Enrico Cuccia non fu mai presidente operativo. Nel 1988, con la privatizzazione, Maranghi divenne amministratore delegato e Cuccia fu convinto ad accettare la presidenza onoraria. Maranghi si consultò sempre con Cuccia ma la gestione della banca era a suo carico. Cuccia partecipava alle riunioni del cda ma senza intervenire, ma gli bastava uno sguardo per difendere le proposte di Maranghi".

Sono tempi ormai lontani ma di certo Nagel ha alle spalle qualcosa di più di una privatizzazione, come capitò ad Antonio Maccanico, presidente della merchant bank a fine anni Ottanta. In molti gli hanno chiesto in questi giorni se resta convinto ancora della bontà dell'operazione di acquisto di Banca Generali, bocciata dall’assemblea di Mediobanca. Lui in privato continua a ripetere di esserne assolutamente convinto: andava fatta per aumentare il valore della banca e il suo business nel wealth management. A riprova della sua posizione, come ricordato da MF-Milano Finanza, rammenta le volte che gli è stato impedito negli ultimi tre anni di fare l’operazione, ben prima che si scatenasse la battaglia con il Monte per il controllo a valle anche di Generali, asset storico in mano alla banca d’affari.

Del futuro del ceo sono pieni i giornali. Liquidazioni milionarie? Per statuto c’è un limite di 5 milioni di euro. Fondazione di una propria merchant bank? Nessuno ci crede, nemmeno lui alla soglia dei 60 anni, che possa fare un passo del genere una volta varcato per l’ultima volta il portone di Mediobanca. Ingresso in un colosso tipo BlackRock in qualità di advisor? Tutto molto prematuro. E da valutare, quando ne avrà tempo, perché Nagel dovrà garantire la corrente gestione dell’istituto fino all’insediamento del nuovo consiglio e alla celebrazione dell’assemblea, che non si sa ancora se resterà quel fatidico 28 ottobre, giorno della marcia su Roma, fortemente voluto dall’antifascista Enrico Cuccia.

Cosa pensa che accadrà ora è l’altro tormentone di chi lo ha potuto incontrare in questi giorni. Il ceo non commenta ma rimanda ancora a quanto già sostenuto per tabulas: secondo lui l’operazione Mps-Mediobanca è solo un atto di potere che non ha razionali finanziari e presto verranno al pettine molti nodi. Ma ormai non è più tempo di rimuginare. Il banchiere milanese di quella Milano che gli ha voltato le spalle (forse perché quella Milano non esiste più), metterà in fila quello che ha fatto per la banca, magari in una sorta di memorie, asciutte e in qualche parte forse amare per come è andata a finire la battaglia finanziaria. Nagel si considera il banchiere che ha trasformato Mediobanca dall’animale novecentesco di Cuccia, metà tra holding di partecipazioni e banca d’affari, in un gruppo bancario diversificato, specializzato, presente all’estero e orientato al wealth management, la vera ricchezza rimasta in Italia dopo la sparizione della grande industria.

Una trasformazione che in vent’anni, avrà modo di ricordare ai dipendenti, ha quadruplicato il perimetro dei ricavi della merchant bank (3,7 miliardi a giugno) e garantito agli azionisti un rendimento superiore al 500%. Una transizione portata avanti preservando i valori di "prudenza, rigore e autonomia" propri della casa e dovendo affrontare anche qualche scossone - come quando si è trovato a dover gestire la crisi di Fonsai - e in un periodo storico finanziariamente a dir poco agitato, tra la crisi di Lehman Brothers del 2008 o quella del debito sovrano del 2012, attraversato senza un solo aumento di capitale (unico caso tra le banche italiane, ci tiene molto a sottolineare Nagel).

Il suo disegno industriale è stato perciò chiaro ed era iniziato nei primi anni 2000 integrando Compass con Linea e portandola da 30 milioni di utile utile a 300 milioni, lanciando CheBanca!, che ha innovato il modo di fare banca in Italia, sviluppando il Corporate & Investment Banking all’estero, uscendo da tutti i patti di sindacato e vendendo tutte le partecipazioni, lanciando Mediobanca Private Banking e portando per la prima volta nella storia del Gruppo, con Mediobanca Premier, il brand Mediobanca a operare direttamente sul territorio, al servizio della fascia alta di clientela che in Italia detiene larga parte della ricchezza privata. Un’intuizione, quella di sviluppare il wealth management, che ha portato Mediobanca in meno di 10 anni ad avere più di 100 miliardi di total financial asset grazie a un modello di private & investment banking che è un unicum in Europa per posizionamento e redditività. Questi sono fatti, ama ripetere il banchiere più assediato d’Italia. Fatti che non sono bastati e che adesso, mentre la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti seguono con attenzione la predisposizione delle nomine che indicheranno il nuovo amministratore delegato e il nuovo presidente di Piazzetta Cuccia, dovranno essere valutati anche dai nuovi azionisti di controllo, per riuscire a fare meglio.

Nagel dal canto suo starà per un pò a guardare quello che accade e magari gli tornerà in mente la chiosa del grande Sinatra, che vale anche per i nuovi padroni: "Ci sono state delle volte in cui ho preso un boccone più grande di quello che fossi in grado di masticare. Ma nonostante tutto sono rimasto a testa alta e l’ho fatto a modo mio". Il grande romanzo della finanza volta pagina. (milanofinanza.it)

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